Venerdì 14 luglio 2017, presso le aree verdi della Casa di Reclusione Ranza, è iniziato il laboratorio di lettura dedicato ai bambini in visita ai genitori detenuti, sia del circuito di alta che di media sicurezza.
Questa attività, inserita all’interno del progetto “Padre e figlio”, a sostegno della genitorialità in carcere, è resa possibile grazie al prezioso contributo di due volontarie che offriranno la loro professionalità per agevolare, attraverso la lettura e semplici attività laboratoriali, un più fluido scambio comunicativo tra genitori e figli e, al tempo stesso, stemperare la tensione dei delicati momenti dei saluti, al termine dei colloqui con i papà.
Laura Lotti, insegnante di scuola primaria e Cristina Bursi, educatrice nido, si alterneranno nella lettura animata di testi per l’infanzia, prevedendo poi la realizzazione di un piccolo manufatto che i bambini potranno donare al genitore.
Il primo approccio al testo è stato particolare: c’è chi ne ha avuto un’iniziale paura, confondendo questa attività con il sapore, talvolta faticoso da mandar giù, della scuola appena conclusa. Altri, invece, hanno visto il libro come un elemento che li portava a doversi spostare dalle ginocchia protettive e tanto agognate del papà, altri ancora si sono avvicinati con curiosità, soprattutto per la valigetta piena di gomitoli di lana, colori e cartoncini che spuntava alle spalle della nostra lettrice.
Io mi sono fatta piccola, sedendomi per terra a fianco di una casetta giocattolo che ospitava Giovanni e Ilary, due fratellini intenti ad aprire e chiudere le finestre della loro nuova dimora sangimignanese, ridendo fragorosamente ad ogni sbattere di persiane.
E’ stato bello stare sullo sfondo a godersi quell’intrecciarsi di relazioni umane accese, piano piano, dalla scintilla innescata da un libro, un’abile lettrice e una strana marionetta, “Cicciapelliccia”, appunto la protagonista del testo.
La lettrice, fluidamente, lasciava che le cose scorressero così come venivano..lasciava che Cicciapelliccia venisse annusata, lanciata e, diciamolo pure, a volte strapazzata, da mani di diversa grandezza, perché di differenti età erano i bimbi presenti a colloquio.
Ho notato come i bambini avessero bisogno di toccare il libro, assimilandolo con i sensi, prima di predisporsi alla lettura, lasciandosi andare all’ascolto.
La volontaria ha lasciato che fosse proprio così e, in poco tempo, i bambini manipolavano il libro e, con esso, tutte le parole e i messaggi contenuti.
Era diventata, in un battibaleno, una piccola fabbrica di talenti: chi tagliava, chi incollava, chi intrecciava fili colorati, chi scriveva una dedica per mamma e papà.
Nel circuito della media sicurezza, ho visto una famiglia intera alle prese con disegni il cui focus era mettere su carta una cosa in cui i genitori e i figli si sentivano davvero capaci, riconoscendo l’unicità di ciascuno.
Ho sentito che, in fondo, quella famiglia allargata, composta da un figlio in comune e altri avuti da rispettive precedenti relazioni, erano, per un momento, lì a giocarsi la loro possibilità di dialogare e incontrarsi proprio come avviene a volte nel mio studio, e nella vita in genere.
Un telefono senza fili fatto di risorse, talenti personali e paure finalmente narrabili è stato ciò che ho visto dipanarsi attorno al libro e alle attività da esso scaturite.
Uscendo, ho immaginato con simpatia le celle dei papà detenuti ravvivate da disegni dei vari “cicciapelliccia” fatti dai figli con i fili di lana e sono rimasta colpita dalla risposta della volontaria, alla mia domanda: “sei riuscita a leggere tutto il libro?”.
Lei, sorridendo, mi ha detto “no, non è stato possibile. Ho lasciato che ne facessero esperienza con il naso, con le mani impazienti, con gli occhi timidi e con orecchie talvolta distratte dalla quantità di altri stimoli a cui erano sottoposte…”
Ho trovato quest’approccio alla lettura così delicato, in armonia con la musica del luogo.
Il libro ha saputo essere, a mio avviso, un potente sottofondo in uno spazio dedicato all’incontro tra padri e figli. L’insegnante ha compreso che quell’incontro si gioca in pochi attimi ed è, pertanto, tarato su tempi “stretti”: i dieci minuti del contatto telefonico, le tre-quattro ore dei colloqui visivi fatti ogni due-tre mesi, quando va bene.
In quel tempo e in quello spazio, il libro ha fatto da collante, da alleggeritore di tensione emotiva, da normalizzatore, perché ha proposto un’attività quotidiana all’interno di un rapporto che di naturale e quotidiano purtroppo ha poco, rendendo il momento dei saluti una promessa: il genitore garantisce al figlio che troverà il giusto posto dove custodire il regalo nato dall’attività insieme e assicura di ricambiare presto con un altro disegno, o una lettera, in regalo.
E colpisce come, anche senza leggere tutto il testo, il messaggio del libro sia giunto chiaro a destinazione: se frughiamo ben bene, in mezzo a difficoltà e mancanze, tutti abbiamo un talento da esplorare, una cosa in cui ci sentiamo capaci e insuperabili (o quasi)!
Giulia Lotti,
Psicologa- Psicoterapeuta