Il primo incontro con un bambino in terapia, è spesso segnato da uno sguardo attonito: lui-lei sono stati accompagnati dal papà e dalla mamma, con la promessa di trovare uno spazio di gioco, di divertimento, di ascolto…
Entrando, un bambino trova, se la giornata è bella, finestre da cui entra molta luce, oltre le quali si vedono grandi alberi e qualche tetto.
Se invece è brutto, nuvoloni grigi che giocano a nascondino, avvicinandosi al vetro per poi scomparire dalla visuale. Spostando lo sguardo all’interno, fogli colorati, matite e pennarelli e, per sedersi, due tappetini.
Dal diffusore, fanno capolino profumo di menta se arrivo stanca, di lavanda se sento il bisogno di tranquillità.
Forse quegli occhi cercano per un pò una qualsiasi traccia di qualche gioco tecnologico, di un computer, magari anche solo del mio cellulare ( che c’è, ad onor del vero, ma appoggiato in un angolo della scrivania).
Presto, però, si abituano a quel poco, si mostrano complici nel rituale fatto dal sistemare i tappetini, aggiungere qualche cuscino, aprire gli occhi per vedere se sono davvero ancora lì, ad accompagnarli in quel viaggio apparentemente fatto di niente, di luce e silenzio, con l’idea di accogliere la noia, dandole forma.
Diminuire gli stimoli esterni per accendere quelli interni, per far conoscenza di sé.
Non sto parlando del tappeto magico di Aladino, anche se un giretto non lo rifiuterei, ma della pratica del training autogeno, semplici tecniche di rilassamento di cui il bambino può fare esperienza, anche con la presenza del genitore.
Ascoltare il nostro corpo, percepire la differenza tra tensione e rilassamento muscolare, connettere tali sensazioni con i personali stati emotivi, permette di autocentrarsi, trovare risorse anche (e soprattutto) in mezzo al nulla, mantenere più a lungo l’attenzione su di sé e sull’esterno.
Fermarsi permette, a volte, di viaggiare con l’immaginazione, agevolando la capacità simbolica, la fantasia, dar voce a una difficoltà ma potenziare, anche, uno stato di gioia, prendendone piena consapevolezza.
Questo tipo di silenzio interiore, aiuta anche a mettersi in ascolto di tutte le sensazioni che arrivano dai nostri canali percettivi: chiudere gli occhi, per accendere uno sguardo interiore, percepire suoni che altrimenti passerebbero inosservati, appoggiare le mani lungo il corpo per avvertire, con il tatto, lo spazio che occupiamo con la nostra persona, annusare profumi dell’ambiente circostante e della memoria.
Quei tappetini, disposti da un professionista se se ne presenta la necessità, se ci troviamo di fronte ad un disagio che ostacola la nostra quotidianità, se un’emozione fatica a fluire all’interno dello spazio familiare, se si avverte il bisogno di essere prima guidati per poter accedere più agevolmente al racconto di noi, possono però diventare tranquillamente anche un rituale tra il bambino e il genitore (e, perché no, tra il genitore e il genitore!).
Non importa se non si ricordano le parole, se seduti vicini ci sentiamo un pò goffi..affiancare quei tappetini, in risposta alla noia del bambino, alla fatica a “stare”, a fermarsi e porre attenzione ad una attività, scolastica o familiare, a stare nella dimensione dell’attesa, al non saper dare un nome alle proprie emozioni, è come dire al proprio figlio:
“fermati, fermiamoci, hai un grande patrimonio e io sono qui con te, interessato a scoprirlo con te..hai un corpo, capace di sentire freschezza e calore, pesantezza e leggerezza, fatica e ristoro. Hai occhi capaci di vedere, un naso fatto per indovinare profumi, due mani nate per “impattare” con il mondo, con la sua morbidezza e durezza, talvolta.. Hai orecchie per ascoltare la tua storia e quella degli altri…e tutto questo è un tesoro inesauribile, che non potrà mai annoiarti e, altro dettaglio non da poco, che non costa nulla!”
Credo sia importante che noi adulti ci ricordiamo e, al tempo stesso, che i figli apprendano quanta ricchezza abbiamo da mettere in circolo, in modo che quando fuori non troviamo stimoli, soddisfazione, o quando incontriamo paure, incertezza, semplici noie o apatie momentanee, possiamo confidare in ciò che ci è stato dato in dotazione: un corpo che sente, una mente che pensa, riflette e prova emozioni.
Il rilassamento agevola tale dimensione, favorendo questa autoconsapevolezza e poi, dopo il riposo, fogli e matite sono lì per raccontare degli incontri fatti, i luoghi visti, gli abbracci ricevuti, le paure spuntate da un cespuglio…insomma tutto quel mondo e le possibilità che a volte soffochiamo con la nenia del “ che noia, non so che fare….!”
Allora, siete pronti a salire su quel tappeto??
Giulia Lotti
Psicologa- Psicoterapeuta