La casa di reclusione Ranza di San Gimignano, da giovedì 16 marzo, ha aperto l’area verde per i consueti colloqui con i familiari dei detenuti, organizzando nelle giornate di venerdì 17 e sabato 18, animazioni per i bambini che sono venuti in visita ai genitori, in occasione della festa del papà.
I detenuti, sia dell’alta che della media sicurezza, afferenti al progetto “Padre e figlio”, nelle ultime settimane ai gruppi si mostravano emozionati e, in parte, anche in difficoltà, per l’arrivo dei figli e sentivano il bisogno di essere rassicurati, prevedendo ogni minimo gesto, domanda, ritualità di quelle giornate.
Marco, che ha da poco concluso le pratiche di riconoscimento del figlio, nato quando lui si trovava già in regime detentivo, mi dice: “Dottoressa, lo sa che mio figlio prende l’aereo per la prima volta per venire qua? Chissà cosa penserà una volta arrivato, se mi chiederà di comprargli qualche gioco in particolare e, soprattutto, ci insegni a dire no ai figli..quando si vedono così poco, non si riesce a fare la parte dei cattivi con loro e quella parola scomoda, il NO appunto, finiamo per farla pronunciare sempre alle mogli, alle zie, alle nonne..”.
Said mi rassicura, dice che tutte le sue preoccupazioni rispetto alla distanza della figlia allo scorso colloquio erano state eccessive. “ Aveva ragione lei, Dottoressa, la bimba non ce l’aveva con me, quel giorno era solo stanca o forse si portava qualche brutto pensiero già da fuori, non voleva rifiutare un mio gesto d’affetto. Me lo ha proprio scritto in una lettera”.
Nelle loro domande, nelle scarpe sempre bianche e pulite, nei gesti nervosi delle mani che accompagnano e danno enfasi alle parole, ai dubbi, sento la fatica di incastrare tra loro realtà e dimensioni temporali così diverse
Il tempo dentro è ben cadenzato da una quotidianità che si ripete e rincorre sempre uguale a se stessa, con pochi imprevisti, tutto è tenuto sotto controllo..c’è un’ora per fare ogni cosa..
Fuori, invece, e le mamme lo sanno bene, il tempo corre, i neonati diventano presto bambini e i bambini in un soffio divengono ragazzi, con la fatica di stare in scarpe che in fretta divengono strette ma, ancora, con gambe non sufficientemente forti per camminare da sole.
Fuori, ci sono imprevisti, repentini cambiamenti di umore, corse al tempo, persino richieste di doni di ubiquità talvolta…ed è difficile che questi due mondi, abitati da tempi così diversi tra loro, si incontrino e si sintonizzino in un orologio familiare che scorra fluido ed armonioso.
Ne è un esempio l’ansia di Francesco, che al gruppo racconta della paura che a casa sia accaduto qualcosa di brutto. “ Dottoressa dovevo telefonare ieri alle 15, come faccio ogni martedì..mio figlio a quell’ora è tornato da scuola e mia moglie lo porta a casa della nonna, dove io di solito telefono perché là c’è il fisso e in 10 minuti posso sentirli tutti e tre. Certo, quando mio figlio parla veloce e non ci mette un’ora per dirmi che a scuola ha preso finalmente un bel voto..io sono lì che fremo, vorrei già pronunciare la domanda successiva perché quei minuti scorrono talmente veloci.. Pensi che invece oggi il telefono è suonato a vuoto, l’agente mi ha fatto pure ripetere la chiamata, ma niente, nessuno ha risposto. Temo che sia successo qualcosa di brutto…
La mente, allora, va alla mia vita, di mamma e lavoratrice, penso alle mie corse e lotte al tempo, a tutte le telefonate a cui non ho risposto perché all’ultimo alla bimba è venuto un gran febbrone e c’era da correre dal dottore, oppure un paziente che faticava a stare nei tempi della seduta perché la solitudine era troppa per uscire dalla porta e provare ad affrontarla da solo ed ecco che, viceversa, sono in ritardo rispetto al mio rientro a casa…e nasce sul mio viso un sorriso di comprensione, che fa da congiunzione tra la paura di chi, immobile, come Francesco attende che una voce risponda al telefono e la moglie che, magari, quel giorno, ha corso cercando di essere puntuale ma qualcosa, come spesso accade a chi si muove all’interno della giornata come un equilibrista sul filo sottile, l’ha fatta ritardare.
Nelle giornate dedicate alla festa del papà in Istituto, la mia collega ed io, abbiamo cercato forse proprio questo: essere, con la nostra presenza, un ponte tra diverse realtà. Un ponte tra il paterno e il materno, il dentro e il fuori, l’imprevisto e la routine, la lentezza e la rapidità dello scorrere del tempo, il mondo adulto e quello dei bambini.
Abbiamo provato a favorire il gioco con i figli, la vicinanza e il calore di due persone, che sceglievano attentamente i colori e si osservavano con attenzione e amore, per fare i rispettivi ritratti.
Abbiamo provato a far vedere ai padri che si può restare dei seri punti di riferimento per i figli anche dopo aver sudato sotto il sole a giocare a bandierina con loro, a colorare un disegno lasciato in dono, che poi altro non è che un modo per lenire il difficile momento del distacco e dei saluti.
Certo avevamo ben presente che quei giochi, quegli abbracci, le fotografie e persino il tempo benevolo con quel tiepido sole di primavera, avevano un retrogusto amaro, che abbiamo provato ad accogliere, a non ignorare..perchè i bimbi, che stavano su due giardini recintati l’uno di fronte all’altro, rispettivamente chiusi da cancelli e reti di protezione, chiedevano perché non potessero giocare insieme, visto che i loro papà afferiscono a circuiti diversi e vige il divieto di incontro.
Le domande dei bambini vanno accolte, anche quando sono scomode e sembra che rovinino l’atmosfera di festa di un giorno di sole, vanno accolte con la delicatezza con cui vanno protetti i bambini, la loro dolcezza e i sogni.
A volte, però, i bimbi spiazzano e non sappiamo cosa rispondere, soprattutto quando un pugno allo stomaco segue le loro ingenue ma forti domande.
La risposta è arrivata facendo squadra, mettendoci a fianco dei papà, che non si sono sottratti dal rispondere in prima persona che “no, purtroppo quel cancello non si poteva aprire, è una regola.. però ci si poteva lanciare il pallone da una rete all’altra, in modo che i bambini potessero fare dei turni per quel gioco…trovando, a loro volta, un modo per fare ponte”
Sono venuta via da quella giornata emozionante e stancante, arrivata a conclusione di una settimana dove non sono mancati imprevisti e necessità di rivedere più volte i piani in corso d’opera, pensando che quando ci si guarda, ci si ascolta, si prova a sentire ciò che l’altro prova, congiungere è possibile, le distanze si possono in parte colmare.
Giulia Lotti
Psicologa-Psicoterapeuta