Sforno i biscotti, mi dico che sono per la merenda dei miei figli, che saranno felici di sentire quel profumo di spezie e pasta frolla in giro per casa, che mi abbracceranno e mi sorrideranno sfoderando un sorriso incorniciato da buffi baffi di zucchero a velo.
Mentre impasto mi chiedo da chi abbia preso tutto questo amore per la pasticceria, per i profumi dolci che si sprigionano nell’aria e fanno della casa un luogo caldo e sicuro.
Poi penso che no, non ho quasi mai visto nessuno dei miei cari preparare dolci, né la mia casa è stata un luogo dove la protezione e il calore passavano tra i pori olfattivi attivati dal sentore di vaniglia e cannella.
Però la mia memoria torna all’immagine dei libri che mi leggeva la nonna, quando spesso mi ammalavo a causa di tonsille che di lì a poco avrebbero salutato quel mio corpo di bambina, liberandomi dai fiumi di antibiotico rosa fragola che ero abituata a mandare giù.
In quei libri c’erano case ricavate da tronchi di querce in boschi abitati da coniglietti, sempre indaffarati in piccole cucine dalle tendine a quadretti e tavoli di legno massiccio su cui era distesa la frolla, vicino a un matterello e stampini per i biscotti.
Ricordo che io mi tuffavo quasi dentro al libro, in cerca di un angolino da cui poter vedere scorci di vita familiare così piacevoli per me.
E così, oggi, mentre impasto e fondo cioccolata fondente, incontro quella bambina che, per prima, battendo sul tempo i bambini “in carne ed ossa” di questa casa, ha partecipato stupita all’incontro tra la farina, il lievito, la cannella e il limone grattugiato. I suoi occhi per primi hanno visto i biscotti lievitare in forno e le mani, insieme ad altre mani ormai adulte, hanno poi unito quei cerchi rotondi di impasto, mettendo al centro il ripieno.
Quella bambina si è divertita, si è scaldata gli occhi e il cuore, ritagliandosi, ancora una volta, un angolino in cui poter esistere, ricordare, respirare, ricevere ciò di cui aveva bisogno.
Anche in terapia i ricordi si incrociano, così come i bambini che stanno accanto ai “loro adulti” e che la memoria permette di far nuovamente esistere, nel qui ed ora di una stanza verde chiaro.
Quei bambini hanno voglia di fare biscotti, di correre veloci sulle giostre di un luna park rimasto immutato nel tempo, di cantare a squarciagola, di sognare un futuro da eroe giramondo, di dormire fino a tardi senza essere chiamato “buono a nulla”, di avere adulti pronti a vederli, accompagnandoli in ciò in cui trovano conforto.
Da quell’incontro tra adulti con la voglia di dar respiro ai propri bambini interiori, è nato l’ascolto di una poesia che, come molte altre che ho avuto il piacere di leggere, ha dato nutrimento alle parti piccole, ma non meno importanti, di noi, a cui troppo spesso diciamo di tacere.
E siccome i bambini, si sa, amano stare con i loro simili, chissà che leggendo tra queste righe, qualche altro bimbo si aggiunga alla fila di chi cerca un posto dove ciò che siamo stati possa tornare presente, trovando, stavolta, quel conforto che, per mille voli della vita, non era stato pienamente possibile allora.
Luna Park
Stanotte son io
di turno qui
al Luna Park.
Nel silenzio entro e lascio
come ultimo rumore
il suono del motore.
Si parte da lì o da qui?
Da una parte.
Di scopa e paletta
inizio la mia umile arte
io cancello non disegno
tolgo tracce di vita
per una piazza pulita.
Cammino spazzando
resti di bisbocce, sigarette
zucchero filato;
tutti ormai han rincasato
anche il tempo
ha preso l’ultima birra
e se n’è andato.
Intorno a me,
con gli occhi di un piccino,
i soliti giochi per piccoli e grandi
sembrano giganti
ora spenti in luci e rumori
ma accesi di vita
e di ricordi pulsanti.
Ancora poche bottiglie
qualche lattina
le solite sigarette.
Ho quasi finito qui al Luna Park.
Grazie luna per la luce.
Grazie tempo che ti sei fermato.
Grazie notte e silenzio.
Il domani di nuovo ridisegnerà
luci, rumori, caos,
bottiglie, lattine, sigarette.
Noi ci rivedremo quando tutto finirà
dopo mezzanotte
ancora qui
al Luna Park.
(E.B.)
Giulia Lotti, Psicoterapeuta